La Villa Valguarnera era la reggia fra le case principesche della verde vallata. I padroni vi tenevano corte imbandita di Cavalieri e di Dame, di amici e di vassalli, di servitori e di valletti, ai quali offrivano commossa residenza in ampie stanze, grandi saloni con quadri, pitture e ornamenti, in un teatro artisticamente decorato a orti e frutteti e boschetti e giardini pensili e logge e cortili e fonti e statue e quella Montagnola che la più deliziosa delle colline il più giocondo asilo della pace…” G. Pitrè

La «Casina alla Bagaria» fu commissionata nel 1712 da Anna Gravina principessa di Gravina e Valguarnera al Padre domenicano Tomaso Maria Napoli. L’architetto, diletto discepolo di Carlo Fontana, formatosi nell’alveo della tradizione Berniniana, al culmine della sua carriera, progetterà quel raffinato sistema di prospettive e proporzioni euritmiche destinato a diventare tra i più fulgidi esempi del barocco Siciliano.
La Villa, che per un dichiarato atto d’amore fu eretta sulla sommità di una montagna spianata a forza di braccia ed esplosivi, accoglie al termine del lungo viale il visitatore nell’abbraccio dei suoi portici (dove non è poi difficile scorgere San Pietro), e lo invita a bearsi placidamente in giardino della vista mozzafiato dei due golfi di Palermo e Cefalù.

Tale era la fama della Villa deliziosa dei Principi di Valguarnera che fu immortalata, non appena furono completati i lavori, in un’incisione di Antonio Bova nel 1761.

Il monumento fu successivamente ammodernato secondo gli stilemi del nascente neoclassicismo e fu caricato di significati complessi ed esoterici dalla nipote di Anna Gravina, Marianna Valguarnera e Branciforte e da suo marito Pietro Valguarnera e Gravina. I principi di Valguarnera, influenzati dal progetto culturale e politico del conte Francesco Algarotti – veneziano, massone, eclettico raffinato, che aveva diffuso il pensiero di Newton in Europa illustrandone le teorie allo stesso Voltaire – hanno accolto e protetto molti illustri rappresentanti del pensiero illuminista, spesso perseguitati dall’Inquisizione. Tra questi, il filosofo riformatore, il lombardo Isidoro Bianchi, autore Dei Misteri Eleusini e dell’Antico Arcano, e Dell’Istituto dei veri liberi muratori; così come anche il matematico e architetto Niccolò Cento, traduttore di Liebnitz e divulgatore di Wolff e Maclaurin. A quest’ultimo fu affidato il progetto di un misterioso e grande tempio a tre navate, che completa il disegno enigmatico di una chiave, già evidente nella pianta iniziale del monumento. L’edificio del tempio costituisce la parte essenziale della chiave (il suo “pettine”), quello che aziona la serratura e dà così accesso al viaggio gnostico attraverso il quale, con lo sforzo e la perseveranza di Ercole (presente come alter ego del principe nelle statue e negli affreschi di Villa Valguarnera) è possibile accedere alla conoscenza. La forma caratteristica della chiave è ancora facilmente ravvisabile.

La casa è pregna di simboli di chiara ispirazione massonica, che punteggiano il percorso di iniziazione che conduce dall’ingresso monumentale principale al corpo centrale della villa, e persino fino alla cima della piccola montagna (“Montagnola”) disposta in una piramide esoterica da Niccolò Cento . Un progetto “firmato” su ciascun portale con il monogramma MAVP (Maria Anna Valguarnera Principessa) e nella cui lettera A è facile scorgere il compasso intrecciato con la squadra.

Il rapporto aureo, la “proporzione divina” utilizzata dall’architetto Napoli nel progetto dell’intero monumento, emerge dalla complessa geometria cui fece ricorso, per il bel disegno dei trentasei archi del portico ellittico del cortile, per la composizione della facciata, financo nello schema delle mattonelle, disposte a scacchiera sulla terrazza che guarda al mare.

La villa si fa portatrice del più esatto significato dell’illuminismo: si vuole qui creare l’Arcadia, dove la conoscenza, l’amore e la fratellanza tra gli uomini sono i cardini su cui costruire Utopia. La Casa, come un’Encyclopédie di pietra, i cui dipinti fanno da pagine illustrate, racconta la summa delle scienze settecentesche: l’alchimia, l’astrologia, l’esoterismo, la navigazione e la geografia, la matematica, la filosofia, la botanica.

Così, per esempio, le statue che sovrastano l’edificio, opera di Ignazio Marabitti, rappresentano le tappe dell’Opus alchemico che il principe – evocato nella parte superiore dell’angolo nord dalla figura di Ercole – deve superare con l’aiuto di Ganimede (al suo fianco), al fine di purificare la sua anima dalle passioni e quindi raggiungere la trasmutazione alchemica. Le statue di Mercurio (Nigredo), Nettuno (Albedo), Giove (Crinitas) e Apollo (Rubedo) (= gli stadi dell’Opus), sono posizionate sugli acroteri dell’edificio, in corrispondenza del movimento delle costellazioni, per ricordare che le fatiche di Ercole ruotano in armonia insieme con le stelle.

E infatti proprio lo Zodiaco è dipinto sulla volta affrescata della stanza al piano terra, che rappresenta il Tempio del Sole o il tempio di Baal (Bel) di Palmira in Siria. Così come si legge nella descrizione di Villa Valguarnera, 1785, che Marianna aveva fatto scrivere per offrirla ai viaggiatori accolti in casa sua da tutto il mondo, l’affresco è la riproduzione esatta della volta settentrionale del tempio di Palmira (perso a causa della guerra nel 2015) con le sette divinità planetarie (Giove al centro e tutt’intorno a Apollo, Artemide, Ares, Ermes, Afrodite e Crono), circondate dai dodici segni dello Zodiaco.

La sala è dedicata all’”immortale Neutono [Newton], splendore sublime della verace filosofia, autore del Sistema della Luce, e profondo investigatore delle Leggi della Natura, con cui essa regge, e governa l’ampio Universo”.

I medaglioni, affrescati a imitazione delle porcellane di Wedgwood, che adornano la stanza rappresentano l’equilibrio degli opposti, come quello che può essere stabilito tra lo spirito apollineo e quello dionisiaco attraverso la musica. I dipinti che sormontano la maggior parte delle porte – non solo in questa stanza – contengono l’immagine di un ponte o di un porticato, simboli dei riti di passaggio e allo stesso tempo dell’unione.

Sempre al piano terra, c’è “una grande loggia di architettura corinzia”, ​​dedicata ai capitani Wallis e Cook, che si erano messi alla scoperta della stessa mitica Arcadia a cui stavano pensando Marianna Valguarnera e gli intellettuali che la circondavano, quale prototipo della società utopica che volevano realizzare a Bagheria. E i ricordi delle imprese dei due nocchieri e delle isole che scoprirono su mandato della Corona inglese, fanno, ora come allora, bella mostra di sé in Sicilia, non poi così lontana dal centro del bel mondo.

Il boudoir nella stanza dell’alcova, decorato con stucchi dorati, è sormontato dal tetragramma, mentre il numero “4” appare nella parte inferiore della decorazione pittorica che sormonta la porta interna.

Al piano nobile, nell’ampio salone, siamo accolti dalle fatiche di Ercole, riprodotte nelle maestose decorazioni della volta. Al centro, l’affresco ottagonale “Il Trionfo del Principe Illuminato” allude, attraverso le sue allegorie, a una sorta di comunità secolare, un’ecclesia, composta da uomini uniti sotto il segno della Concordia, che detengono la chiave per ‘un viaggio di comprensione degli esperimenti ottici di Newton, in cui lo spettacolo di Luce e prismi è anche un simbolo del mondo rigenerato dall’intervento provvidenziale dell’Uomo-Athanor.

Il principe illuminato viene introdotto all’Olimpo da Mercurio, il Logos, grazie alla mirabile sintesi dei mezzi (le virtù che brillano nel cielo scuro) e dei fini (Conoscenza-Gnosi e il bambino con capelli dorati sul cielo sereno), raggiunti al termine della “via umida” (il fiume) da lui intrapresa all’inizio del cammino. Nelle sue mani il motto della famiglia Valguarnera “Mavult principem esse quam videri”: ciò che conta non è apparire un principe, ma comportarsi come tale Volta.

Nella volta del boudoir dell’alcova della principessa, il luogo più riservato della villa, è affrescata la rappresentazione – l’unica nota fino ai giorni nostri – dell’Uomo-Athanor. Ha il candore dell’infanzia (simboleggiato dalla sua nudità) e la saggezza dell’età (barba lunga e capelli bianchi), che gli ha permesso di fondere acqua e fuoco, forgiando nel suo cuore la Pietra filosofale e completando così il viaggio alchemico che porta alla realizzazione della Grande Opera.

La necessità di questo “santuario” all’interno del “tempio”, riservato esclusivamente agli “officianti”, fu sottolineata nel 1737 dallo stesso Francesco Algarotti, nell’opera scritta quando stava con Voltaire presso Madame du Châtelet, “Newtonianismo per le dame, dialoghi sopra la luce e i colori”. Questo best-seller dell’epoca propone di realizzare, nei vari spazi di una villa italiana (salotti, gallerie di dipinti, giardini e fontane) una sorta di spettacolo multimediale per illustrare un sistema filosofico, artistico e sociale ispirato a Newton. Nel “santuario” di Villa Valguarnera, in particolare nella camera da letto dell’alcova, ci sono “due dipinti singolari progettati da Algarotti” e commissionati a Francesco Zuccarelli per la Galleria di Dresda e per Sansouci. Uno illustra la VI Egloga del Sileno di Virgilio che canta la nascita del mondo che emerge dal caos; l’altro rappresenta Cicerone che scopre la tomba di Archimede in una mitica Siracusa, grazie alla bussola, alla sfera e al cilindro che la decorano. Questi sono gli strumenti utilizzati da Pitagora e Archimede per misurare l’universo. Tutto intorno alla stanza, sono le panoplie degli eroi classici: ben strana decorazione per una camera da letto! Ma è comprensibile in relazione all’affresco centrale, in cui il giovane Ercole (l’Alcide di Metastasio) è rappresentato all’incrocio tra “Edonyde”, la dea della voluttà, e “Aretheus”, la Virtù, che in atto di protendersi verso di lui, gli mostra la strada da percorrere e la corona che lo attende alla fine delle sue prove. È una sintesi del pensiero di Algarotti: il Principe Illuminato condurrà il mondo dal caos all’armonia armato della ragione.

Nella sala attigua si trova l’affresco del sepolcro di Algarotti nel cimitero di Pisa, riconoscibile dalla scritta “Valvarottos”, un calembour tra Valguarnera e Algarotti? O forse un modo per tacere la partecipazione della famiglia ad un’ideologia controversa e invisa all’Inquisizione.

Gli altri saloni nascondono poi, dietro l’apparente frivolezza delle decorazioni pompeiane, altri simboli che fanno parte del viaggio iniziatico: in uno sono raffigurati Apollo e Diana, un altro nell’altro si narra dell’apoteosi del Principe che, avendo partecipato ai misteri di Eleusi (illustrati nelle piccole riquadratore dipinte di rosso) rinasce, per volere di Iside, come la Fenice, compiendo così trasmutazione alchemica.

Il viaggio iniziatico continua attraverso il parco, lungo un percorso che porta alla Montagnola, simbolo del Monte Sion, verso la Gerusalemme celeste. La prima parte del sentiero è delimitata da alberi di manna, che la Bibbia descrive come il “cibo degli angeli”; salendo, ciascuna delle sette fasi della Grande Opera era originariamente rappresentata da altrettante stazioni, individuate da una seduta deliziosa e da una statua che ne tradiva il messaggio: un cherubino che impone il silenzio, il signum hippocraticum attribuito a Hermès, l’imperativo alla disciplina cui è tenuto l’apprendista massone; Diana, simbolo della luna dea madrina della fase nigredo; il terribile Ciclope Polifemo, orami arresosi all’amore celebrato da Aci e Galatea nella loro grotta, intento a suonare il flauto di Pan. E solo allora quando il cuore e lo spirito dell’iniziato saranno trasmutati da Amore egli potrà ascendere a contemplare l’assoluto: la meta è finalmente il belvedere in forma di ottagono, figura simbolo del legame tra terra e cielo, al cui centro, su un piedistallo che punta a nord è la statua di Urania, la musa che schiude i segreti celesti (oggi custodita in una stanza della casa) e che con “telescopio in mano, mostra di mirar le stelle”.

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